Monumentale Novara

Raffaello e Alessandro Faraggiana. Benefattori.

LA VITA E LO SPIRITO. RAFFAELLO e ALESSANDRO FARAGGIANA. BENEFATTORI DELLA CITTÀ DI NOVARA.

 

Raffaello Faraggiana

raffello faraggiana. Raffaello e Alessandro Faraggiana
dal sito del Teatro Faraggiana

 

Atti Parlamentari – Commemorazione

Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi! È mancato ai vivi ieri in Novara il senatore Raffaello Faraggiana, dopo lunga malattia.

Nato in quella città il 20 maggio 1841, vi continuò le filantropiche e liberali tradizioni della nobile famiglia; e, dando alle vaste sue terre razionale coltura, giovò ai progressi agrari della regione ed al bene della popolazione campestre. La stima generale e la fiducia costante dei concittadini lo prepose alle pubbliche amministrazioni. Gentile e benefico, fu molto amato in vita; ed è ora accompagnato da grata memoria alla tomba.

Il Senato, cui apparteneva dal 4 dicembre 1890 per il censo, unisce il suo al compianto della famiglia, della campagna e della città.

 

    Raffaello Faraggiana di Sarzana nasce a Novara il 20 maggio 1841 da Alessandro Faraggiana e Amalia De Bayer. Il 7 ottobre 1874 sposa Caterina Ferrandi dalla quale ha due figli, Alessandro e Giuseppe. L’anno successivo alla morte del padre, avvenuta nel 1875, muore, senza discendenza, lo zio Giuseppe: da quel momento il patrimonio familiare è nelle sole mani di Raffaello, che nel 1879 acquisisce anche il titolo di marchese di Castellazzo. Nel 1890 diventa senatore per censo. A Novara si distingue per le sue attività di benefattore tanto da donare alla città un nuovo teatro, il Teatro Faraggiana, e da essere per un periodo rettore dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara. Muore a Novara il 28 giugno 1911 con il cordoglio di tutti i concittadini.

teatro faraggiana. Raffaello e Alessandro Faraggiana
IL TEATRO CIVICO FARAGGIANA

IL TEATRO CIVICO FARAGGIANA

Un Teatro per la città

Il “Civico Teatro Faraggiana” venne costruito nel 1905 per volontà del marchese Raffaello che lo donò alla città nel 1911.  Era il terzo teatro cittadino, dopo il Coccia e il Municipale-Politeama, ma il legame tra gli spettacoli e le famiglie aristocratiche o altoborghesi aveva una lunga tradizione.

[…] Il “Civico Teatro Faraggiana” era nato da un preciso progetto della famiglia, di Raffaello in particolare, per offrire alla città uno spazio di cultura più ampia rispetto al teatro principale dell’epoca, il Coccia, di proprietà e gestione della Società dei Palchettisti, che erano poi gli esponenti delle grandi famiglie, aristocratiche e borghesi, cittadine. Per inciso: quando pensò a un proprio teatro, Raffaello era nel consiglio direttivo del Coccia e, dal 1876, ne era stato, a più riprese, presidente, coinvolto in non pochi scontri relativi alla programmazione. Progettato e realizzato dall’architetto Giuseppe Oliverio di Milano, il Faraggiana aveva una platea di circa 15 metri di diametro, con un frontone del boccascena di 12 metri. Tra i fregi sopra il palcoscenico troneggiava la “F” della famiglia. La pianta era a ferro di cavallo e comprendeva 378 posti a sedere in platea, 19 palchi, una galleria per 227 persone e un loggione per 256. Decorazioni, modanature a stucco, fregi furono in gran parte distrutti nell’incendio del 1940, mentre, sotto la controsoffittatura dell’atrio, è ancora leggibile “il trionfo di Apollo” affrescato dal pittore Cenni di Milano. Per l’epoca si trattò di un lavoro magistrale, i giornali gli dedicarono articoli entusiastici congratulandosi col senatore Faraggiana per “l’idea felicissima di un nuovo teatro” che poteva offrirsi “oltre che per gli spettacoli tradizionali, come luogo di assemblee numerose, o varie manifestazioni”. La famiglia aveva così lasciato il suo segno distintivo e immediatamente riconoscibile sul terreno della storia e della polis: il teatro infatti è azione collettiva e, da due millenni, fare teatro corrisponde a fare politica.

[…] Il “Civico Teatro” consentì alla famiglia di realizzare la propria vocazione culturale; quasi subito dopo l’inaugurazione infatti, lo spazio venne aperto anche a spettacoli di beneficenza: per gli scrofolosi, i piccoli spazzacamini, le orfanelle, i “poveri vergognosi”, i malati cronici. La beneficenza, come la intendevano i Faraggiana, non era solo materiale: due volte a settimana il loro chalet-museo di Meina si apriva per gli abitanti dei paesi sul lago; pescatori e contadini venivano messi in condizione di aprire gli occhi su mondi sconosciuti. E la donazione del Teatro alla comunità cittadina, da parte di Raffaello, rivela molto sulla continuità tra passato e presente che il progetto perseguiva: le biblioteche della famiglia (oggi in gran parte disperse da chi avrebbe dovuto averne cura) la collezione d’arte, i reperti archeologici, la passione per le immagini, e per la memoria che esse conservano, dicono con assoluta chiarezza che, per i Faraggiana, conoscere il passato è un atto morale. Per Raffaello, la memoria come attitudine etica, unita al desiderio di essere ricordato, si innestava positivamente sulla consapevolezza di offrire un regalo utile, in cui la società novarese potesse guardare se stessa, conoscere la propria storia e le proprie tradizioni e confrontarle con altre.

Silvana Bartoli

da http://www.teatrofaraggiana.it/il-teatro-faraggiana

 

    Il teatro deve essere già riammodernato ai primi degli anni ’30 del secolo scorso. Un documento conservato in Archivio di Stato di Novara ci conferma che l’architetto Eugenio Paludi, direttori dei lavori di ammodernamento del Civico teatro Faraggiana, ha affidato l’incarico alla Ditta Coneglio in data 10 settembre 1934, e che i lavori sono conclusi il 13 maggio 1935… ma poco dopo il teatro deve subire altri interventi: sono previsti nuovi locali per il bar ed il guardaroba, nuovi vestiboli nella prima galleria, l’uso di una struttura nuova con sistema di tensostruttura poiché sono state abolite le colonne nella platea e nella prima galleria, la creazione di una nuovo locale per la direzione, la costruzione di toilette per uomini e per gli artisti, la sistemazione dei locali camerini in seconda galleria, nuovi camerini per gli artisti, la costruzione di una scala dal primo al secondo piano camerini.

    Tutte le opere di ammodernamento, purtroppo, sono inutili: nel dicembre del 1940 il teatro è vittima di un incendio! Si rende necessaria una nuova ricostruzione che dà vita al teatro attuale.

 

Alessandro Faraggiana

alessandro faraggiana. Raffaello e Alessandro Faraggiana

 

Caterina Ferrandi (1856-1940) era la più bella ragazza di Novara; era anche molto ricca e quando sposò Raffaello Faraggiana (1841-1911) fu un’unione di patrimoni. I Faraggiana, Nobili di Sarzana, proprietari terrieri e armatori di navi, erano da secoli molto benestanti ma nulla in confronto alla miniera d’oro che ereditarono dallo zio materno di Raffaello, Giovan Maria de Albertis, il quale, prestando denaro alla nobiltà, aveva incamerato gioielli, opere d’arte, libri antichi, case, cascine e terreni, ivi compresi i tremila ettari del tenimento di Castellazzo grazie al quale Caterina e Raffaello acquistarono il titolo di marchesi nel 1879. La neo marchesa Faraggiana era una signora raffinata ed elegantissima ma, tutta la città sapeva che era figlia dell’avvocato Ferrandi e della sua cameriera, l‘avvenente Fanny.

Caterina e Raffaello ebbero due figli: Alessandro (1876-1961) e Giuseppe (1880-1965) che non avrebbero potuto essere tra loro più diversi; il primo, ufficiale di artiglieria a cavallo, divenne attento custode del patrimonio ereditato; il secondo, brillante avvocato interessato agli “ultimi”, riuscì a far evaporare la sua parte e morì in totale povertà.

http://www.teatrofaraggiana.it/il-teatro-faraggiana

 

    Figlio di Raffaello Faraggiana e di Caterina Ferrandi, si distingue dal fratello Giuseppe (avvocato vicino alle classi più disagiate) per il suo amore per l’avventura e per i viaggi.

 

Suo padre Raffaello, erede di un grande patrimonio, era marchese, discendente dei Faraggiana di Sarzana, d’origine ligure, stabilitisi a Novara nel 1821. Appassionato di musica e teatro, aveva assunto importanti incarichi nella vita pubblica cittadina ed era stato nominato senatore del Regno da re Umberto I. La madre, marchesa Caterina Faraggiana Ferrandi (1856-1940) ebbe un ruolo decisivo nel trasmettere ad Alessandro l’amore per gli animali, la natura, la musica, la poesia e le arti in genere. La signora, cresciuta negli agi di una ricca famiglia borghese (che risiedeva in centro-città, possedeva una villa sul lago Maggiore, con giardino di piante esotiche, scuderia, cascine, terreni, cavi e fontanili nei pressi di Novara), era accudita da un’istitutrice personale, amava firmare i documenti col nome di «Catherine» ed era una delle dame di compagnia della regina Margherita. Nella villa acquistata a Meina dai suoceri nel 1855, sulla collina che domina il lago, tra boschi di castagni, orchidee, piante e animali esotici, trovava un luogo ideale, un rifugio raffinato ed esclusivo in cui esprimere se stessa, coltivare le sue passioni, trasferire varie specie botaniche e zoologiche che, una volta morte, venivano imbalsamate e sistemate in uno chalet-museo aperto al pubblico.

Maurizio Leigheb, Tra esplorazione, ideologia e scienza Ugo Ferrandi, Guido Boggiani e Alessandro Faraggiana: tre viaggiatori novaresi a confronto

in “I sentieri della ricerca, rivista di storia contemporanea”, p.160

 

    Il nome di Alessandro Faraggiana è legato indissolubilmente alle spedizioni presso le popolazioni di Africa e Asia che divengono territori di “caccia” sia in senso letterale sia in chiave fotografica. La seconda metà del 1800 è, infatti, caratterizzata da un rilancio delle attività esplorative: i commerci e lo spirito espansionistico di alcune nazioni come Inghilterra e Francia lo richiedono! Molti gli esploratori stranieri che si cimentano in spedizioni a volte al limite del leggendario. I giornali ne parlano e molti giovani vogliono emularli, sono i nuovi eroi. Accanto agli esploratori impegnati ad aprire nuove rotte coloniali tra fine 1800 ed inizio 1900 si presenta la figura dell’esploratore con finalità scientifiche nell’ambito delle scienze naturali, antropologiche ed etnologiche che donano alla patria collezioni di piante e animali e/o reperti etnografici. A Novara tra questi giovani, oltre ad Ugo Ferrandi e a Guido Boggiani, ecco il nostro Alessandro Faraggiana, sostenuto nelle sue imprese dalla agiatezza economica della famiglia. Le sue esplorazioni vengono corredate da resoconti, arricchiti da immagini fotografiche, poi pubblicati sul “Bollettino della Società Geografica Italiana”, di cui era socio. Tali resoconti contenevano modeste indicazioni di itinerari ma molte vicende di viaggio dando spunti interessanti sugli aspetti geografici e ambientali dei territori attraversati, sia sui tratti somatici, l’indole, i comportamenti, le peculiarità culturali delle popolazioni incontrate.

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A bordo dell’indipendente, Archivio Musei Civici, Album 2474 INV. F., Comune di Novara
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Villaggio, Archivio Musei Civici, Album 2476 INV. F., Comune di Novara
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Sulla cima della piramide di Cheope, Archivio Musei Civici, Album 2474 INV. F., Comune di Novara
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Barrage del Nilo, Archivio Musei Civici, Album 2474 INV. F., Comune di Novara
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Fachiri, Archivio Musei Civici, Album 2475 INV. F., Comune di Novara
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Palazzo municipale di Bombay, Archivio Musei Civici, Album 2475 INV. F., Comune di Novara

Le due relazioni di viaggio in Africa e in Asia, pubblicate da Alessandro nel «Bollettino della Società Geografica Italiana» (Alcune notizie sui Suk e sui Turcana, 6: 561-576; 7: 636-652, 1908, e Ricordi di un’escursione ad Arcangelsk e alla Nuova Zemlia, 3: 343-365, 1910), riflettono i comportamenti, i gusti e gli interessi di un colto signore appassionato, dopo le esplorazioni di fine Ottocento, di viaggi esotici e imprese venatorie di caccia grossa. Quella sui suk e i turkana, popolazioni nilo-camitiche che vivono nel nord del Kenya (con cartina, fotografie e disegni che riproducono armi e altri manufatti etnografici), fornisce una serie di informazioni sui rapporti ostili tra i due gruppi etnici e tra i turkana e gli abissini, che spesso li costringevano a chiedere protezione agli inglesi; sulle incursioni e razzie di dromedari che, a loro volta, i turkana compivano nel territorio dei boran; sul commercio dell’avorio in cambio di filo di ferro, tabacco e conterie; sugli scambi di bovini con asini e capre; sulla pesca nei fiumi senza ami e reti, ma solo con le lance (il cui metallo veniva loro fornito dai suk); sul matrimonio per compra (di bestiame); sulla nudità degli indigeni, che però osservavano una severa morale coniugale; sul parto e i festeggiamenti per la nascita di un figlio; sui lunghi saluti che si scambiavano quando si incontravano; sulla sepoltura e sulle specie animali che si potevano cacciare nella zona. Queste osservazioni costituiscono, nel loro insieme, una piccola monografia, dettata da un lodevole intento etnografico, ancorché priva di scientificità.

In chiusura non manca una riflessione sul futuro di quei popoli, «quando arriverà il progresso della nostra civiltà» si chiede l’autore «vivranno più Faraggiana durante uno dei suoi viaggi felici dopo l’invasione degli occidentali?» Nel 1908 il cacciatore Faraggiana si fa ritrarre, come si usava allora, con in testa il casco coloniale, a cavallo di una preda, un grande rinoceronte abbattuto, come Vittorio Bottego, sedici anni prima, a cavallo del primo ippopotamo ucciso durante l’esplorazione del corso del Giuba: immagini-simbolo, «icone» rivelatrici della mentalità di un’epoca. Per l’agiata borghesia umbertina safari e caccia grossa erano insieme una moda, un vanto e uno status symbol, che oggi farebbero inorridire i militanti del WWF e delle organizzazioni internazionali per la protezione degli animali. Decisamente più turistico, anche se di un turismo un po’ «estremo» («di nicchia» diremmo oggi), appare il viaggio effettuato verso la Nuova Zemlia, nel mese di luglio del 1909. Nella sua relazione, pubblicata l’anno successivo, Faraggiana racconta che, per poterla visitare, giunto in treno ad Arcangelsk da Pietroburgo, non trovando mezzi e persone disposte ad accompagnarlo, approfittò di un passaggio (concessogli dal governatore Sovmoski) a bordo della nave Principessa Olga, che due volte all’anno raggiungeva quell’isola. Della comitiva facevano parte i membri di una spedizione geologica russa, due imbalsamatori, un botanico e alcuni turisti. Ci informa anche sulle varie spedizioni che, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, esplorarono quella terra desolata, per gran parte dell’anno coperta da neve e ghiacci e all’inizio dell’estate da un tappeto di fiori profumati, e sulle specie animali che vi si potevano cacciare. Nella baia di Beluscia (dal nome di un cetaceo così chiamato dai russi) avvicinò un gruppo di Samoiedi, cacciatori, pescatori e allevatori di renne di origine mongolica e di lingua uralica, cinque o sei famiglie che vivevano in tende coniche rivestite di pelli di renna, fornendo sommarie informazioni sulla loro bassa statura, il vestiario, le abitudini venatorie, la resistenza di antiche credenze, il culto dei morti e degli spiriti accanto alla religione cristiano ortodossa.

Sfruttati da avventurieri e commercianti russi e norvegesi, essi scambiavano pellicce d’orso, ermellino, martora e volpi polari, grasso di foca e cuccioli vivi di animali selvatici con prodotti essenziali come legname, farina, the, zucchero, acquavite, piombo e polvere da sparo. Con alcuni di loro si divertì a far strage di oche non ancora in grado di volare e di foche: pur possedendo armi ad avancarica, i samoiedi ne uccisero centinaia a bastonate, lui a fucilate.

Maurizio Leigheb, Tra esplorazione, ideologia e scienza Ugo Ferrandi, Guido Boggiani e Alessandro Faraggiana: tre viaggiatori novaresi a confronto

in “I sentieri della ricerca, rivista di storia contemporanea”, pp. 161-163

 

museo storia naturale1. Raffaello e Alessandro Faraggiana

museo storia naturale2. Raffaello e Alessandro Faraggiana

museo storia naturale3. Raffaello e Alessandro Faraggiana

museo storia naturale4. Raffaello e Alessandro Faraggiana

    Dalle sue spedizioni nasce il Museo di Storia Naturale Faraggiana Ferrandi. Gli animali esotici cacciati vengono portati nella villa di Meina: qui Caterina Faraggiana Ferrandi e il figlio Alessandro costituiscono nel parco uno zoo e un museo, poi donato a Novara e riallestito nel 1959 nel palazzo di famiglia.

 

Dal lago maggiore al Tibet

Il nucleo principale della nostra raccolta è costituito da specie locali ed esotiche allevate nel serraglio di Meina, cui si aggiunsero quelle portate dall’Africa e dall’Asia da Alessandro Faraggiana e altre donate dall’esploratore Ugo Ferrandi. Arricchitasi con successive donazioni di privati e di Parchi e Riserve Naturali e acquisti, conta oggi circa 2400 esemplari, in gran parte mammiferi e uccelli, che illustrano in modo coerente le regioni zoogeografiche di tutto il mondo. Preziosi esemplari di specie ormai rare e pregevoli preparazioni tassidermiche dei primi del Novecento ne fanno una delle più belle raccolte pubbliche del Piemonte.

Dal sito del Museo di Storia Naturale Faraggiana Ferrandi

 

CINQUE MINUTI CON IGOR FESTARI

Naturalista del Museo di Storia Naturale Faraggiana Ferrandi.

igor festari

Esattamente come nel caso di altre simili istituzioni, la nascita e lo sviluppo del Museo di Storia Naturale Faraggiana Ferrandi affondano le radici nel fenomeno del mecenatismo che si protrasse dall’unità d’Italia alla seconda guerra mondiale. In quel periodo il desiderio d’avventura e di scoperta delle famiglie italiane di matrice borghese aprì la strada ai viaggi d’esplorazione, specialmente nel continente africano, i quali divennero una passione condivisa da tutti gli uomini di cultura. Costoro cominciarono, quindi, a riportare in patria grandi quantità d’esemplari, sia di carattere naturalistico che etnico ed antropologico, per poterli esporre in abitazioni private e menagerie, dando così avvio ai nuclei di alcune delle principali collezioni scientifiche del nostro Paese. In tale inquadramento storico devono essere considerati la famiglia Faraggiana e il capitano Ugo Ferrandi, coloro che in massima misura contribuirono alla nascita e allo sviluppo delle collezioni scientifiche che in seguito divennero di proprietà del Comune di Novara.

Igor Festari, Una Famiglia per Novara: i Faraggiana, Il museo tra passato e futuro, p.193

 

Testi e ricerca immagini: Emanuela Fortuna